Tempo effettivo, il calcio è a un bivio

Due tifosi su tre vorrebbero il tempo effettivo e il Var a chiamata. Il sondaggio di Deloitte conferma quanto avevamo intuito con il nostro naso. Il calcio è a un bivio decisivo. Di qua c’è uno spettacolo sportivo che si rinnova adeguandosi ai cambiamenti dei gusti del pubblico, di là c’è un antiquariato senza smalto che rischia di finire nella soffitta della storia. Si tratta di scegliere quale direzione imboccare. In fretta. Non è casuale che lo studio analitico che in queste pagine presentiamo giunga da una delle più importanti società di consulenza e revisione del mondo. Perché le regole del campo hanno un impatto non più trascurabile sulla disponibilità del capitale finanziario a investire nell’economia del calcio. Una partita che formalmente dura novanta minuti, e di fatto si gioca per appena cinquantaquattro, rischia di risultare come una lotteria truccata. Di cui diffidare. Tanto più se accade che il tempo di gara si dilati fino al punto da superare in media i novantasette minuti e quello effettivo si contragga perdendo tra il 2016 e il 2023 tre minuti, come effetto di pratiche dilatorie delle squadre interessate a difendere il risultato. Con una frustrazione delle aspettative del pubblico e un danno per lo spettacolo.

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Il tempo effettivo

La strategica perdita di tempo, prima ancora che un insulto al principio di lealtà sportiva, è una violazione di quel diritto alla speranza di rimontare che da sempre fidelizza il tifoso al calcio. È singolare che ogni tentativo di proteggere questo diritto con rimedi tampone, come l’allungamento del tempo di gara, venga annullato dalla raffinatezza delle tattiche dilatorie. D’altra parte, il fatto di poter aumentare il recupero induce gli arbitri a tollerare il ritardo nelle rimesse in gioco da fondo, nelle punizioni e calci d’angolo e nei falli laterali. Non si ammonisce più, tanto si gioca di più. E allora l’ultima trovata sembrano essere i crampi o l’infortunio nel recupero, poiché il recupero del recupero è quasi sempre inesistente, o comunque inferiore al tempo perduto. Così il finale di gara diventa un intollerabile braccio di ferro tra strategie ed energie che di propriamente agonistico non hanno più nulla. Il tempo effettivo – magari di sessanta minuti – riporterebbe la competizione a un equilibrio sportivo costante, così come avviene in tutti gli altri sport, regalando un finale incandescente di emozioni.

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Il Var a chiamata

Lo stesso vale per il Var a chiamata, in un numero limitato di casi per tempo, che eliminerebbe l’irrisolto dualismo tra arbitro e occhio elettronico, e che rimetterebbe il diritto a una verifica della decisione sportiva nella disponibilità delle due squadre, lasciando al direttore di gara la maestà dell’ultima parola. Non sarebbe solo una garanzia di giustizia sportiva. Ma anche e soprattutto un disincentivo a quelle pratiche sleali che inducono molti cascatori d’area a simulare rigori inesistenti, poiché in tal caso i primi a dolersi di queste condotte sarebbero i propri allenatori. Un calcio più avvincente e più giusto è anche uno sport più credibile. Perché riduce la casualità, e il relativo fattore di rischio, alle dinamiche del gioco, non a fattori esterni alla competizione. Sarebbe un esito in grado di generare fiducia dentro il campo e nel pubblico, cioè nei luoghi di quel mercato dove sarebbe conveniente investire di più per far crescere il sistema. Due misure regolamentari hanno un ricasco economico che non sfugge a Deloitte. Quando lo capiranno anche i vertici mondiali del calcio?

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